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Parlami di Aurelio Settimo

È dopo diversi giorni di riflessione che mi trovo a scrivere su Aurelio Settimo.


Il mio primo appuntamento con lui risale alla primavera dell’anno scorso. Nella bolgia di una fiera, dove i soggetti più distinti si trasformano in intrepidi e sgomitanti pionieri, l’angolo di Aurelio era un’oasi felice. Ad accogliere me ed i miei colleghi c’erano Tiziana, titolare dell’azienda agricola, e Laura.

Con una semplicità disarmante e senza troppi convenevoli appena arrivati ci invitarono ad accomodarci. L’attenzione che ci dedicarono era unica e personale. Ci sembrava di essere i soli in quel cantuccio quasi familiare, il che era sorprendente considerato l’evento che era in corso.

Siccome amo le sorprese ricordo bene quel giorno: Aurelio era un Barolo del 1971. Avevano a disposizione qualche riserva e una di queste capitò proprio a noi. Purtroppo non avevo ancora l’abitudine di prendere appunti, ma forse il carattere di quel vino non lo richiedeva nemmeno. Il tempo non lo aveva svigorito, lo aveva reso simile a un vecchio saggio. D’aspetto era arrugginito, ma le sue “parole” avevano un peso incredibile. Sapeva esprimersi in modo diretto e per certi versi attuale.

Ecco che da allora, Aurelio l’ho rivisto solo due settimane fa. In questa occasione l’ho fatto entrare in casa. Non so spiegarmi bene il perché di questa attesa, dopotutto il nostro era stato un lieto incontro. Tuttavia la sensazione che ho è che sia lui a decidere quando venire a trovarti.

Stavolta è arrivato con tre vestiti diversi. Era sempre un Barolo di Rocche dell’Annunziata ma di tre annate differenti: 2010, 2011 e 2012.

Nel primo vestito, il più “maturo”, Aurelio era molto coinvolgente. Inizialmente metteva quasi soggezione per la sua serietà, ma poco dopo cominciava a darmi confidenza e si apriva in modo estremamente intrigante. Sotto il primo strato scopriva pian piano tutta la sua ricchezza e profondità. Mi ricorda una mia amica con la quale converserei per ore.

Nel secondo abito, con etichetta 2011, il suo temperamento era molto diverso. Assomigliava a un’altra persona a cui sono legata, molto energica e piena di vitalità, alle volte un po’ pungente. Al contrario del precedente, era sicuramente più asciutto. Se dovessi fare un viaggio con lui sceglierei un’escursione alle Cinque Terre nel mese di giugno, quando il calore del sole è ancora piacevole da sentire sul viso.

Sulla terza “mise” targata 2012 continuo tuttora ad interrogarmi. Subito Aurelio sembrava scontroso, introverso. Nonostante l’impatto difficile avevo deciso di non perdermi d’animo. Ecco che in modo sorprendente mi ammaliava con una morbidezza e un savoir faire notevoli. Nel momento più bello, in cui l’intesa era diventata praticamente perfetta, mi ha colto però disarmata. Con una sfrontatezza glaciale e una velocità mai vista prima mi ha “sbattuto” la porta in faccia e mi ha fatto rimanere lì, con l’amaro in bocca. Come un altro individuo che conosco, rimane per me una personalità emblematica.

L’eterogeneità fa di Aurelio Settimo la sua ricchezza. Non esiste un vino uguale, ognuno ha il suo carattere, fatto dei suoi pregi e dei suoi difetti e proprio per questo risulta sempre una novità. Ciò che percepisco è che la stessa attenzione che ho ricevuto lo scorso anno dai proprietari è quella che gli stessi riversano nel loro lavoro. In un certo senso è come se entrassero in empatia con la natura, rispettandola e chiamandola ogni anno che passa con un nome nuovo, diverso.

Chissà quando lo rincontrerò, di sicuro mi lascerò trovare.